Moda Sostenibile e Intelligenza Artificiale: un Nuovo Rinascimento tra Creatività, Tecnologia e Responsabilità

Durante il corso di Melania Marvulli “Moda sostenibile e intelligenza artificiale” abbiamo esaminato l’incontro tra sostenibilità e intelligenza artificiale (IA) nel settore moda, che rappresenta oggi una delle traiettorie più dibattute e allo stesso tempo promettenti della transizione ecologica e digitale in atto. Melania Marvulli è dottoranda presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, dove si occupa di politiche industriali europee, innovazione sostenibile e trasformazioni digitali nel settore moda. Originaria di Altamura, ha svolto attività di ricerca, divulgazione e formazione sui temi della sostenibilità, con particolare attenzione alla dimensione territoriale e artigianale. Ha collaborato con enti pubblici e imprese del settore e ha curato la lezione “Moda sostenibile e Intelligenza Artificiale” per il progetto MooDa.

La Moda sostenibile al tempo dell’Intelligenza artificiale: progresso o paradosso?

Cosa succede quando sostenibilità e intelligenza artificiale si incontrano nel mondo della moda?

E se proprio la tecnologia – e in particolare l’intelligenza artificiale – potesse aiutarci a rendere la moda più giusta, trasparente e sostenibile?

La moda non è solo un’espressione estetica o culturale, ma un settore industriale strategico per l’economia globale, con un valore stimato di 2.3 trilioni di euro nel 2024 e oltre 430 milioni di lavoratori coinvolti. Tuttavia, tale impatto economico si accompagna a gravi criticità ambientali e sociali: secondo recenti stime, l’industria tessile è responsabile del 10% delle emissioni globali di CO₂ e del 20% dell’inquinamento idrico mondiale, con un utilizzo estensivo di risorse naturali e un’intensa produzione di rifiuti tessili.

All’interno di questo contesto, l’intelligenza artificiale emerge come una leva potenziale di innovazione sostenibile, a condizione che venga impiegata in modo etico, trasparente e orientato al bene collettivo.

Il corso è stato infatti avviato non con una lezione frontale, ma con un gioco interattivo di gruppo, pensato per stimolare riflessioni condivise e generare uno scambio trasversale tra i diversi attori della filiera. Ogni gruppo, rappresentante simbolico di un ruolo nella società (policy making, aziende, consumatori, futuristi della moda), è stato invitato a selezionare cinque parole chiave da un glossario contenente termini specialistici legati all’IA e alla sostenibilità nel settore moda: tra questi, concetti come tracciabilità, AI generativa, passaporto digitale del prodotto, on demand production, materiali rigenerati, greenwashing.

A partire da tali scelte, i partecipanti hanno elaborato collettivamente riflessioni su opportunità, rischi e bisogni futuri, dimostrando un alto livello di coinvolgimento. Particolarmente significativi sono stati i contributi provenienti dagli artigiani locali, i quali hanno sollevato interrogativi fondamentali sul rapporto tra innovazione tecnologica e preservazione del sapere manuale, richiamando il rischio di marginalizzazione culturale e produttiva qualora l’adozione dell’IA non sia accompagnata da processi inclusivi e formativi adeguati.

Dal confronto tra i gruppi è emerso un quadro articolato delle modalità attraverso cui l’IA può contribuire a rendere più sostenibile il sistema moda. Tra le più rilevanti vi è la capacità predittiva degli algoritmi nell’anticipare la domanda di mercato, riducendo così la sovrapproduzione e le giacenze invendute, uno dei fattori principali alla base della crisi ambientale del fast fashion. L’ottimizzazione della logistica e della supply chain, inoltre, permette una riduzione significativa di tempi, costi e risorse impiegate, migliorando il cosiddetto “time-to-market”.

In ambito progettuale, l’IA generativa si configura come strumento di supporto alla creatività, capace di elaborare design personalizzati a partire da input testuali o visivi, generare texture, palette colori e perfino collezioni intere in modalità digitale. Questo approccio consente non solo di contenere i costi di prototipazione, ma anche di promuovere modelli produttivi più responsivi, adattati alla reale domanda del consumatore.

persona in possesso di carta verde

La tracciabilità è stato un altro nodo centrale della discussione durante il corso. L’introduzione del Passaporto Digitale del Prodotto nel quadro normativo europeo obbligherà, entro il 2030, ogni capo a riportare in forma digitale e accessibile le informazioni sulla propria composizione, origine, riciclabilità e impatto ambientale. L’integrazione con sistemi basati su IA – come dimostrano i progetti pilota Trace4Value, Refiberd, NewRetex – permette di mappare la filiera in modo più accurato, affidabile e trasparente, contribuendo a combattere il greenwashing e a rafforzare i diritti dei lavoratori lungo tutta la catena di fornitura.

Nel campo del riciclo avanzato, l’IA si combina con tecnologie come la visione artificiale e l’imaging iperspettrale per distinguere con precisione le fibre tessili e indirizzarle verso processi specifici di riutilizzo o riciclo, come nel caso di Reju (riciclo chimico del poliestere) o Atelier Riforma (upcycling intelligente dei capi dismessi). Questi modelli rappresentano applicazioni concrete dell’economia circolare, nella direzione di una moda più rigenerativa.

Tuttavia, l’impiego dell’IA comporta anche numerose sfide etiche e regolative. L’opacità degli algoritmi, il rischio di bias discriminatori, l’alto consumo energetico legato al training dei modelli e la scarsa accountability nei processi decisionali automatizzati rappresentano elementi critici già ampiamente discussi in letteratura. L’AI Act dell’Unione Europea tenta di rispondere a queste problematiche attraverso un approccio graduale basato sul livello di rischio, ma restano aperte numerose questioni legate all’applicazione concreta nei settori creativi e produttivi.

L’artigianato, in particolare, rischia di subire una nuova forma di espropriazione digitale, se le tecniche tradizionali e i saperi locali vengono digitalizzati senza tutele o riconoscimento economico. Tuttavia, come sottolineato da alcuni partecipanti, l’IA può anche essere un alleato per documentare, tramandare e valorizzare queste competenze, creando archivi culturali dinamici e strumenti narrativi per l’e-commerce etico e di prossimità.

La donna sorride mentre è circondata da luci incandescenti.

Conclusione: una moda circolare, intelligente, etica

L’intelligenza artificiale non è la soluzione in sé. È uno strumento. Ma nelle mani giuste, può diventare leva per:

  • Disegnare capi a basso impatto.
  • Produrre responsabilmente, solo quando serve.
  • Allungare la vita dei prodotti.
  • Ridurre gli scarti e trasformarli in risorse.

In conclusione, la relazione tra sostenibilità e intelligenza artificiale nella moda non è lineare né predeterminata: essa dipende dalle scelte politiche, culturali e progettuali che verranno compiute nei prossimi anni. L’incontro laboratoriale qui descritto ha mostrato come l’interazione attiva tra saperi tecnici, pratiche locali e riflessioni collettive possa generare una visione più consapevole, critica e generativa dell’innovazione. È proprio in questo spazio di co-produzione, tra tecnologia e territorio, che può nascere una moda capace non solo di vestirci, ma di trasformarci.

È tempo di una nuova narrazione della moda: non più fondata sulla velocità cieca, ma sull’intelligenza condivisa, la sostenibilità reale e l’umanità della creazione.

La vera sfida? Far dialogare tecnologia e umanità, innovazione e giustizia, industria e cultura.

 

"La moda non ha più bisogno solo di velocità. Ha bisogno di intelligenza."