Verso una moda sostenibile: cosa abbiamo imparato dal modulo “Dalla moda lineare alla moda circolare”
Durante il modulo “Dalla moda lineare alla moda circolare – Principi, soluzioni e modelli di business per una moda circolare”, realizzato nell’ambito del progetto MooDa, abbiamo intrapreso un vero e proprio viaggio nel mondo della sostenibilità applicata alla moda. Non solo attraverso dati e concetti, ma anche con casi concreti, esempi virtuosi e domande stimolanti.
Il modulo, tenuto da Claudio Ventura il 24 maggio presso il LiberHub di Altamura, ha offerto uno sguardo approfondito e critico sul tema. Claudio è un professionista esperto di sostenibilità ed economia circolare, fondatore del blog Phy/uture, oggi lavora come consulente di sostenibilità.
Perché è importante l’economia circolare?
L’economia circolare è un modello che “rompe con il passato” e, in particolare, con il paradigma dell’economia lineare (“estrai le risorse” -> “produci” -> “usa” -> “smaltisci in discarica”) che non prevede la possibilità di valorizzare i rifiuti attraverso il recupero, il riutilizzo o il riciclo.
Al contrario, l’economia circolare, che offre soluzioni concrete a sfide globali come il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e la sovrapproduzione di rifiuti, si fonda su tre principi chiave:
- Eliminare i rifiuti e l’inquinamento
- Prolungare la vita dei prodotti
- Rigenerare la natura
Oltre ad approfondire la definizione di economia circolare, i partecipanti hanno esaminato anche i principali strumenti che la caratterizzano, tra cui:
- L’eco-design, che consente di progettare prodotti sostenibili e a basso impatto ambientale, attraverso la selezione di materiali meno inquinanti, l’adozione di tecniche produttive più efficienti, la promozione della riparabilità durante l’uso e la facilitazione delle operazioni di recupero e riciclo al termine della vita utile del prodotto;
- La simbiosi industriale, un modello in cui gli scarti o i sottoprodotti di un’azienda diventano risorse preziose per un’altra.
Gli impatti ambientali tipici del settore moda
“La moda è la seconda industria al mondo per emissioni di gas a effetto serra e per consumi di acqua”. Con questo dato “impattante” si è aperta la seconda parte del modulo.
Claudio ha voluto evidenziare, anche attraverso numeri particolarmente incisivi, gli impatti ambientali tipici dell’industria della moda.
Il settore moda contribuisce in modo significativo non solo alle emissioni di gas a effetto serra, ma anche alla produzione massiccia di rifiuti tessili, che nella stragrande maggioranza dei casi non vengono riciclati, ma smaltiti in discarica (solo l’1% dei rifiuti tessili viene effettivamente trasformato in nuovi capi di abbigliamento).
Inoltre, l’industria del fashion è responsabile di un notevole consumo di risorse idriche: si stima, ad esempio, che per produrre una singola camicia di cotone sono necessari circa 700 litri d’acqua. Il settore moda contribuisce anche in modo significativo al rilascio di sostanze inquinanti nei corpi idrici. Il lavaggio di capi realizzati con materiali sintetici provoca ogni anno l’accumulo di oltre mezzo milione di tonnellate di microplastiche sul fondo degli oceani.
Conoscere e approfondire questi dati, ha permesso ai partecipanti di comprendere l’effettiva portata degli impatti ambientali della moda.
Fortunatamente, esistono soluzioni concrete. Una di queste è proprio l’applicazione dei principi e degli strumenti dell’economia circolare al settore moda, per favorire la transizione dalla moda lineare alla moda circolare.
Verso una moda circolare: l’importanza dell’eco design e del riciclo
Per moda circolare non si intende semplicemente “realizzare abiti con materiali riciclati”, ma ripensare in modo sistemico l’intero ciclo di vita dei capi di abbigliamento: dalla progettazione alla produzione, dall’utilizzo alla valorizzazione, una volta che non sono più indossabili.
I partecipanti hanno compreso che un prodotto di moda circolare deve essere progettato, grazie all’eco-design, fin dall’inizio con l’idea di una seconda vita. Deve essere facile da smontare (per facilitarne la riparazione e prolungarne il più possibile la “vita utile”) e realizzato con materiali riciclabili e sostenibili.
Inoltre, in fase di progettazione è possibile creare un legame “emozionale” tra il cliente ed un capo di abbigliamento, essenziale per prolungarne il tasso di utilizzo. Dopotutto, se tieni davvero a una giacca, non la butti dopo una sola stagione, giusto? In effetti, un prodotto ben progettato e valorizzato attraverso un’esperienza di acquisto coinvolgente, ad esempio in negozio, ha molte più probabilità di essere utilizzato più a lungo.
Applicare l’eco-design al settore moda significa anche facilitare la rigenerazione dei capi. L’utilizzo di pochi materiali, cuciture facilmente smontabili e l’assenza di elementi non riciclabili rende più agevoli le operazioni di recupero e separazione necessarie prima del processo di riciclo.
Ma a proposito di riciclo, quali tecnologie sono attualmente disponibili per i capi di abbigliamento?
A questo proposito, i partecipanti hanno imparato che esistono diverse tipologie di riciclo dei capi di abbigliamento:
- Il riciclo meccanico, che consiste nello sminuzzare i tessuti per creare nuove fibre. È più economico e meno energivoro, ma spesso produce fibre più corte e di qualità inferiore.
- Il riciclo chimico, invece, scompone i tessuti nei loro componenti di base (come polimeri o monomeri) per poi rigenerarli. Più costoso, ma permette di ottenere fibre di qualità quasi pari all’originale.
I 4 modelli di business per una moda circolare
Abbiamo esplorato infine i modelli di business circolari, ovvero strategie innovative che disaccoppiano il profitto dalla produzione e dal consumo di risorse vergini. In altre parole: è possibile fare business senza compromettere il pianeta e le risorse che ci offre.
Claudio ci ha guidato attraverso i quattro modelli di business circolari chiave individuati dalla Ellen MacArthur Foundation:
- Rental: il noleggio di capi d’abbigliamento (come fa Twinset con la collezione PLEASEDONTBUY), che consente di prolungare significativamente la vita utile dei prodotti, riducendo al contempo gli impatti ambientali legati alla produzione di nuovi indumenti.
- Resale: la vendita di abiti di seconda mano, un settore in forte espansione grazie a piattaforme come Vestiaire Collective.
- Repair: la riparazione di capi per estenderne la durata e ridurre gli sprechi. Un caso virtuoso in questo ambito è l’azienda Nudie Jeans, che offre riparazioni gratuite ai propri clienti.
- Remaking: la rigenerazione di capi esistenti per creare nuovi prodotti, evitando così l’uso di materie prime vergini.
Ognuno di questi modelli ha impatti ambientali positivi concreti e misurabili: -31% di emissioni grazie alla riparazione, -41% con il noleggio, e la possibilità di raddoppiare la vita utile degli indumenti attraverso il remaking. Ma non si tratta solo di sostenibilità ambientale: i modelli di business circolari potrebbero valere 700 miliardi di dollari entro il 2030, rappresentando il 23% del mercato globale dell’industria del fashion.
Conclusioni
Il modulo tenuto da Claudio ci ha lasciato una certezza: esistono soluzioni concrete per affrontare gli impatti ambientali tipici del settore moda.
Attraverso strumenti come l’eco-design, il riciclo e i modelli di business circolari (rental, resale, repair, remaking), la moda può finalmente diventare più sostenibile.
E no, non dobbiamo aspettare che siano “le grandi aziende” a muoversi: ognuno di noi può fare la differenza, ogni giorno, con scelte più consapevoli e la voglia di informarsi.
Se anche tu pensi che sia arrivato il momento di un cambiamento più sostenibile e circolare, seguici nei prossimi appuntamenti: c’è ancora tanto da scoprire!